La tragedia inenarrabile in atto in Palestina, che ogni giorno scorre sotto i nostri occhi attraverso notiziari, TG e stampa, ci racconta una volontà di sterminio che fa impallidire altre distruzioni di massa che hanno caratterizzato regimi del secolo scorso.
La storia e l’essenza dell’ideologia sionista emerge con una chiarezza estrema, sbattuta in faccia con ferocia contro i palestinesi, ma anche contro i popoli che circondano Israele, contro l’ONU, i giornalisti, le associazioni umanitarie, i medici corsi a soccorrere centinaia di migliaia di feriti. Oltre 50mila sono i morti, considerando i seppelliti sotto i bombardamenti, che non possono essere estratti per totale mancanza di mezzi meccanici, di benzina, di ogni cosa.
I milioni di disperati che vediamo da oltre sette mesi trascinarsi dietro bambini e carri con quel che è restato dopo la distruzione delle loro case, sono lavoratrici, lavoratori e pensionati che hanno contribuito enormemente allo sviluppo del loro stato oppressore, Israele.
Costretti da leggi razziali e di Apartheid peggiori di quelle adottate dall’ex regime sudafricano, centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori palestinesi erano costretti ogni giorno a passare nelle gabbie di divisione tra Gaza e Cisgiordania verso i territori occupati dai sionisti per andare a costruire i muri di divisione e i kibbuz dei feroci coloni sionisti.
Non esistevano alternative a questi umilianti impieghi, data la condizione di prigionieri nel più grande carcere del mondo com’é Gaza, dipendente in tutto e per tutto da Israele: acqua, elettricità, gas, telefonia, connessioni telematiche, sino alla moneta, lo shekel israeliano.
Oggi a causa della guerra in corso questo legame servile si è rotto e non esistono più fonti di reddito per i milioni di palestinesi di Gaza e Cisgiordania.
Un popolo di schiavi che, come Spartaco, ha rilanciato un conflitto totalmente asimmetrico con uno degli eserciti più potenti del mondo. In gioco c’é la vita di milioni di persone sottoposte da 75 anni ad un lento genocidio senza alternative tra la morte, le mutilazioni, le malattie, la profonda infelicità di una vita prigioniera o l’abbandono della propria terra.
In gioco c’è anche la dignità di un popolo che non intende vivere in queste condizioni disumane, che pretende di vivere in pace sulla propria terra!
In questi mesi l’Unione Sindacale di Base e la Federazione Sindacale Mondiale alla quale è afferente hanno raccolto l’appello dei sindacati palestinesi a scendere in piazza al loro fianco in questa lotta impari. Noi abbiamo risposto sempre, promuovendo scioperi nazionali nell’industria, nell’Università e al CNR. Ma tutto questo non è sufficiente. Occorre mantenere alta la mobilitazione per fermare la mano genocida di Israele, ora impegnato ad occupare Rafah, ultimo lembo di terra di una Gaza devastata, dove sopravvive un milione e mezzo di esseri umani accatastati in pochi chilometri quadrati, senza alcuna protezione, alimenti e cure mediche.
Mercoledì 15 maggio saremo in piazza per difendere i palestinesi e i loro diritti sociali, economici e di indipendenza totale dal regime sionista e dai loro padroni occidentali, in primis USA e UE.
Con gli stessi obiettivi sabato 1 giugno saremo alla manifestazione nazionale a Roma, contro le politiche di guerra del governo Meloni, corresponsabile diretto del genocidio a Gaza.
Unione Sindacale di Base